Appunti – Patto sociale e codice della strada

di Dario Tortora


Scrivo mentalmente questo editoriale mentre sono di ritorno da una splendida edizione della 1000 SASSI nei dintorni di Orvieto. Fino a Milano sono quasi 500 km di noiosa autostrada, ma almeno è domenica sera e non ci sono mezzi pesanti in giro.

Adotto quindi la mia tecnica tipica per queste situazioni: mi metto nella corsia di destra e imposto il cruise control a 130 esatti. Non guido una moto dotata di radar quindi non è di tipo adattivo, ma non è necessario visto che davanti a me ci sarà sempre un riposante vuoto, tranne un paio di camion per il trasporto di merci deperibili.

Sulla corsia centrale e di sinistra accade invece di tutto: rimbambiti a 80 all’ora in mezzo che leggono il telefonino, fenomeni italianissimi ma con targa straniera che arrivano sparati sfanalando incuranti del tutor, cambi di corsia improvvisi, la distanza di sicurezza un concetto sconosciuto. Dovessi lottare in quella giungla giungerei a casa spossato, avendo corso dei rischi inutili e guadagnando, a essere ottimisti, 5-10 minuti sull’orario di arrivo.

Secondo il recente sondaggio “Barometro della guida responsabile” svolto da Ipsos in undici Paesi europei, gli italiani risultano i più aggressivi al volante: irritabili, rissosi e il 28% dichiara di essere pure pronto a scendere dall’auto per venire alle mani. Come magra consolazione siamo i peggiori, ma le cifre degli altri Paesi non sono molto distanti.

In questi stessi giorni si sta facendo un gran parlare del limite a 30 all’ora introdotto a Bologna e, cosa apparentemente scollegata, dell’iniziativa “Via libera” (PDF) che ha mappato il numero quotidiano di auto in sosta illegale qui a Milano. Si parla di 63.990 veicoli in un giorno, l’equivalente di settantasette campi da calcio.

Nota bene: la cifra include un numero spropositato di auto sulle rampe per carrozzine delle strisce pedonali, in seconda fila che costringono chi sopraggiunge a scartare improvvisamente e parcheggiate in prossimità degli incroci, oscurando così la visuale a chi si deve immettere da una strada laterale. L’immagine dei vigili in giro a far rispettare il limite dei 30 (ma fossero anche 50) e a multare i divieti di sosta è un lontano ricordo.

Non voglio sembrare un moralista, ne faccio piuttosto un ragionamento molto pratico: sempre secondo lo studio di cui sopra, per il Comune di Milano si parla di un mancato introito di 5,3 milioni di euro al giorno, considerando una multa di 84 euro per divieto di sosta. Sono quasi 160 milioni di euro al mese; certo sarebbe impossibile beccarli tutti e va calcolato il costo dell’esercito di controllori da mettere in campo, ma se fossi il sindaco due conti me li farei.

Sembrano argomenti lontani da ciò di cui ci occupiamo su queste pagine, eppure siamo costretti a condividere il nastro d’asfalto con gli altri utenti della strada e il degrado civile è sotto gli occhi di tutti.

L’immagine dei vigili in giro è un lontano ricordo

Poiché in Italia soffriamo di miopia selettiva e tendiamo a considerare soltanto i divieti che ci fanno comodo, ricordo che anche noi motociclisti abbiamo la nostra dose di responsabilità: sento spesso tirare in ballo le famose Autobahn tedesche prive di limiti di velocità, ma mai nessuno che ricordi che in Germania sono previste sanzioni salatissime per guida pericolosa (a giudizio degli agenti) e la polizia gira in autostrada con delle auto anonime per pizzicare agilmente non tanto chi corre, ma chi va in giro come un idiota.

In quanto motoviaggiatori ci siamo sicuramente resi conto di avere il raro privilegio di vivere in una democrazia. Però il presupposto della libertà non è fare quello che ci pare raggirando lo Stato e il prossimo; in una democrazia il presupposto della libertà è la responsabilità.

Eppure viviamo in un contesto in cui le tasse vengono aggirate appena possibile, chi fa il suo dovere di cittadino non viene gratificato e chi danneggia la cosa pubblica non viene sanzionato. Con un debito pubblico fuori controllo, una natalità a saldo negativo, una fiscalità scandinava e una burocrazia borbonica, la tipica reazione popolare è esaltare Fleximan che sega gli autovelox. È davvero questa la società che vogliamo?

Editoriale pubblicato su RoadBook 42