Appunti – Elogio del tubeless

di Antonio Femia


La visita ai luoghi di Che Guevara a Vallegrande è stata intensa e toccante: al di là di come uno vede il mondo, se si trova a girovagare per la Bolivia non può esimersi dal visitare quei posti che hanno visto gli ultimi giorni del rivoluzionario argentino.

Ci sono passato apposta da Vallegrande e ho fatto bene: il mood boliviano mi ha coinvolto emotivamente e voglio saperne di più di questo Paese e della sua gente, tutto sommato ospitale ma segnata da una vena di rancore neanche troppo celata.

Decido quindi di raggiungere il posto dove il Che venne imprigionato e giustiziato subito dopo la cattura nella Quebrada del Yuro. La Higuera è un minuscolo villaggio di una manciata di case a 60 km di strada da Vallegrande, cinquanta dei quali con fondo pietroso, brecciolino e sabbia che si alternano, interrotti da uno o due villaggi dalla pavimentazione in autobloccanti.

Sento el espíritu de la revolución pervadermi mentre percorro in moto la Ruta 38, al settimo cielo e ormai quasi a destinazione quando sento il posteriore ondeggiare in maniera inconfondibile: ho bucato.

Mi trovo nel nulla e la bomboletta gonfia-e-ripara che mi ha accompagnato per migliaia di chilometri l’ho persa in Cile due settimane prima, mai ricomprata. È ora di tirar fuori le tre leve smontagomme professionali che mi porto appresso, anche loro, da tre continenti: sarà un gioco da ragazzi.

Non è vero, combino un macello: prima pizzico la camera d’aria rattoppata, poi non riesco più a togliere il copertone di cui, a furia di insistere (male) con le leve, ho deformato il bordo. Sbucano dal nulla due tedeschi con un camper 4×4 che mi accompagnano, ruota in braccio, nel villaggio visto qualche chilometro prima dove di certo c’è un gommista.

Effettivamente c’è: è un ragazzotto sulla ventina a petto nudo e piedi scalzi, con in braccio un bellissimo gallo dalle lunghe piume metallizzate e gli artigli affilati. Il giovane va di fretta perché lo aspettano per il combattimento del pennuto e devo seriamente pregarlo perché si degni di aiutarmi.

Alla fine accetta, guardando con disprezzo me e le mie leve professionali in acciaio forgiato; usando un tondino da cemento armato con un’estremità appiattita e curvata a martellate smonta e rimonta tutto in poco più di un minuto. Poi corre verso i suoi impegni con in mano venti dollari e sotto i piedi il mio orgoglio di globetrotter invincibile.

È ormai sera quando, con la schiena a pezzi e la moto claudicante, raggiungo ‘sta benedetta La Higuera: prendo una camera alla Casa del Telegrafista, trasformata nell’unica locanda del posto, dove sprofondo in quello che ricordo come il letto più comodo di tutti i miei cinquant’anni di vita.

Guardando con disprezzo me e le mie leve professionali

Sono un fermo sostenitore dell’imprevisto come motore dell’esperienza e anche quest’avventura mi ha dato ragione. Senza quell’intoppo non avrei passato tre giorni nel villaggio in festa, non avrei conosciuto Melanio, il custode della Escolita che mi ha portato a comprare ricambi arrangiati a Vallegrande; non avrei nemmeno conosciuto due settimane dopo Leonardo, che a La Paz mi ha aiutato a montare una gomma finalmente di marca e della misura giusta.

Però da quel giorno non riesco a trattenere una risata isterica quando mi dicono che il tubeless non è sicuro e mi parlano delle camere d’aria come indispensabili per uscire dall’asfalto. Trastullatevi voi con leve e stallonamenti, io ho ancora mal di schiena solo a pensarci.

Cose Che Capitano pubblicato su RoadBook 43